Oltre i numeri e col cuore: perché sto coi tassisti contro Uber - HuffPost Italia

2022-12-20 14:34:33 By : Mr. Steven Lin

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Bisogna guardare al di là dei numeri delle statistiche sbandierate da chi pretende che i tassisti si inchinino all’ingresso in Italia dei giganti stranieri del trasporto urbano e, magari, si adattino a reggerne la coda. Gli aficionados delle girandole di cifre lamentano che a Milano, Torino e Roma, il numero dei taxi è insufficiente a soddisfare la domanda di chi vuole muoversi speditamente da un angolo all’altro della città. E ne addebitano la colpa agli attuali artigiani del volante che difenderebbero ostinatamente il privilegio del possesso di licenze comunali respingendo ogni riforma finalizzata, in nome della libera concorrenza, ad ampliare la platea degli abilitati a gestire le auto del servizio pubblico.

È una visuale afflitta da una vera miopia. Puntando soltanto ad avere numeri più alti delle auto bianche, si rinuncia a cercar di capire qual è in concreto l’apporto che deriverebbe dal pieno ingresso nel mercato dei players internazionali.

L’esperienza fin qui maturata è assai eloquente. E fa pensare a quel padrone di casa che apre la porta a persone in abito elegante, per scoprire poi, a tavola, che i nuovi arrivati mettono da parte le posate per mangiare con le mani.

Si è visto bene come lavorano nel nostro Paese gli operatori con l’accento Yankee. L’offerta è quella di una efficienza tecnologica che fa leva su una app capace di trovare subito l’auto richiesta, di far conoscere in anticipo il prezzo della corsa e di registrare le particolari esigenze del cliente. Tutto qui. Non c’è una flotta di macchine, né una squadra di conducenti con la casacca a stelle e strisce. La struttura imprenditoriale è assai leggera. Segue un modello americano sperimentato anche in Italia in alcuni settori, come quello della distribuzione di prodotti dolciari e dietetici. Si sfrutta una rete commerciale già esistente o approntata senza contratti di lavoro, alimentata da modeste provvigioni di vendita, per ridurre al minimo l’apparato amministrativo e finanziario della azienda. E si cerca poi di far pervenire i ricavi del business direttamente all’estero, alla casa madre, con evidenti benefici fiscali.

Sono dunque imperi senza uomini e senza mezzi quelli che i giganti esteri del servizio taxi mettono in scena da noi. Difficile perciò non rimanere sconcertati dalla realtà di imprese che vogliono fare concorrenza agli artigiani delle nostre auto bianche senza offrire un vero servizio, ma semplicemente fornendo una intermediazione simile a quella dello spedizioniere che non si impegna nel trasporto, ma si limita a dare incarico ad altri di eseguire il trasferimento di merci o persone.

C’è poi un altro aspetto da mettere bene in luce. Chi fa il discorso sbrigativo recitando: «Largo ai players internazionali», dimostra di ignorare l’interesse dei clienti dei taxi. Poiché i nuovi operatori non hanno né conducenti, né macchine, a provvedere al trasporto saranno autisti reclutati occasionalmente o comunque persone che non danno alcuna garanzia in termini di moralità e professionalità nella conoscenza dei diversi luoghi della città. Oggi chi sale su un taxi sa che il conducente è passato al vaglio di vari filtri selettivi, predisposti dal Comune. Inoltre, qualsiasi condotta scorretta del tassista potrà essere perseguita in sede disciplinare. Ma chi assicura che la app è in grado di trovare un conducente affidabile?

Al riguardo il Disegno di legge sulla concorrenza, amputato nel luglio scorso della parte concernente i taxi, prevedeva un incauto e inopportuno ammorbidimento dei controlli amministrativi anche sulle persone cui affidare la guida. Come se per far entrare sul nostro mercato le imprese che non hanno autisti con le carte in regola, si dovesse abbassare globalmente la guardia per abilitare i soggetti più diversi, con evidente pregiudizio per la clientela.

È dunque evidente che nel discutere sui taxi driver occorre passare – come si può dire parafrasando una nota formula di Leonardo Sciascia – dalla scienza dei numeri alla scienza del cuore umano. Perché essere portati in giro per la città da un pilota senza volto, magari trovato all’ultimo momento, non lascerebbe certamente tranquilla l’attuale clientela dei taxi. I passeggeri delle auto bianche vogliono fruire di un angolo sicuro e confortevole. Il contrassegno apposto dal Comune sulla macchina con un numero civico è la carta di identità del veicolo e di chi sta al volante.

Il taxi è oggi una «lanterna metropolitana» che il conducente porta in giro per la città per imbarcare gli esponenti più diversi della comunità sociale. L’auto pubblica offre nell’abitacolo occasioni per confronti di idee ed espressioni di solidarietà. Perché, allora, gli utenti dovrebbero rassegnarsi in futuro a salire su un veicolo senza credenziali, stando magari gomito a gomito, in regime di car sharing, con persone sconosciute che fanno lo stesso percorso? Per soddisfare il fine di profitto dei signori delle app, si dovrebbe dunque sacrificare il buon diritto dei clienti di fare un viaggio sicuro e in ambiente gradevole.

Ai politici del Governo e del Parlamento, si può chiedere, allora, che, nel disporre l’aumento del numero delle licenze là dove è necessario, aprano le porte del nostro mercato alle multinazionali del digitale solo per operare su un piano paritario con i nostri tassisti, senza sottrarsi all’onere di avere aziende con personale e mezzi. Insomma, entrino pure per fare trasporto urbano di persone e non come «gestori di connessioni telefoniche» che stanno alla finestra per osservare da estranei lo scorrere del traffico cittadino.

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